Siamo ancora pochi, più giovani, a conoscere anziani che condivano la loro conversazione con versi latini o proverbi, rispondendo ad esempio De minimis non curat praetor (1) quando ci rammaricavamo della loro negligenza o notando quando c’era poca pasta per assaggiare u Rari nantes u gurgite vasto supi (2). Non c’era alcun effetto in queste citazioni, nate nei prestiti da linguaggi familiari che facciamo quotidianamente, come low cost o ciao. Queste persone sono state educate prima della guerra all’età di 14 anni, hanno memorizzato intere pagine di Virgilio e Ovidio e hanno composto versi latini. Non erano necessariamente accademici o avvocati, potevano essere soldati, guardaboschi, notai. Per loro il latino era la lingua viva.
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Quanti termini latini usiamo ancora? Cinque o sei? Sic transit, Wade retro, Horresco referendum, Sine die, Nec plus ultra – e talvolta senza conoscere la traduzione esatta. Sono rimasto sorpreso dal fatto che uno dei miei cugini, quando gli è stato chiesto cosa lo avrebbe reso felice per il suo compleanno, abbia menzionato la recente Antologia bilingue di poesia latina dalla raccolta “La Pléiade” (3) che aveva scoperto. La Croce (4).
Quando il libraio mi ha suggerito, devo farvi un bundle?, gli ho chiesto una copertina, spiegando che avrei comunque sfogliato il volume prima di Offrelo. Quindi mi ha preso. Per uno come me che non ha mai studiato la poesia latina, questo libro è un’introduzione ideale. Sebbene abbia 1.826 pagine, sebbene l’antologia sia una scelta seria, deve essere versificata in latino per circa duemilatrecento anni. I primi versi latini conosciuti (poiché gran parte di essi sono andati perdti) sono quelli di Livio Andronico, un poeta greco che diede una versione latina dell’Odissea nel III secolo a.C. Non dimentichiamo, ricorda la prefazione a questa antologia, Philippe Heuzé, che all’inizio della poesia latina c’è la poesia greca. A questo proposito, Età dell’Oro è il 1° anno prima della nuova era, in cui nacquero Lucrezio, Catullo, Virgilio, Orazio, Ovidio…
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Nei secoli successe la poesia fu ampiamente praticata: Cesare, Augusto, Nerone, Adriano furono versificati, così come molti autori noti per la loro prosa, come Cicerone o Plinio il Vecchio. Ciò che è notevole è che la caduta di Roma nel V secolo non significò la fine del latino o della poesia latina. La lingua permane, anche se relativamente poco trasformata, in tutte le antiche province romane e, da quasi mille anni, è lingua dello spirito: teologia, filosofia, diritto, scienza, medicina, poesia si scrivono in latino.
Nell’antologia delle Pleiadi le opere realizzate pendante la “Roma storica” ne rappresentano solo un terzo, mentre le altre due sono dedicate alla poesia latina scritta poi in tutto l’Occidente, soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento, attraverso inni e sequenze cristiane, e alla questo giorno, dove i poeti continuano la versificazione in latino, oltre alla loro lingua abituale: il volume si chiude con una poesia in latino di Pascal Quignard, Inter aerias fagos (“Tra le lettere dell’aria”) , tanto dotta e sottile quanto moderno, perché libera si la metrica che la rima.
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Ancora oggi chi conosce il latino sa quanto questa lingua sia adatta alla poesia. L’assenza di articoli, creando una grande sintesi, ma anche una relativa imprecisione, conferisce alle parole molteplici significati possibili, introducendo nella lingua giochi, indizi, echi che sono pane benedetto per i poeti.
vivere nelle chiese
L’introduzione di Philippe Heuzé si è conclusa con una bella domanda. Che bella poesia in latino, “sono già oggetti da museo? “Cosa possiamo sperare di rileggerli in futuro? Non solo non conosciamo più il latino, ma anche la poesia contemporanea ha rotto con le forme tradizionali che la poesia latina ha codificato e trasmesso.
L’ultimo mezzo in cui il latino rimane vivo è la Chiesa, o le chiese, poiché le liturgia includono sempre testi e canti latini, di cui i praticanti sono ben consapevoli. Molti di noi impediscono l’ultimo contatto con questa lingua madre.